Appalti pubblici sanitari: esclusi gli operatori cinesi, ma le norme impattano anche su quelli italiani
A partire dal 30 giugno 2025, il settore degli appalti pubblici medicali sarà interessato da un’importante novità regolamentare: la Commissione Europea ha escluso gli operatori economici della Repubblica Popolare Cinese da tutte le procedure di gara per dispositivi medici con valore stimato pari o superiore a 5 milioni di euro (IVA esclusa). La misura è prevista nel Regolamento di esecuzione (UE) 2025/1197, adottato in attuazione dello strumento dell’International Procurement Instrument (IPI) (Reg. UE 2022/1031).
Il divieto si applica a tutte le gare che abbiano per oggetto la fornitura di dispositivi medici classificati nei codici CPV da 33100000-1 a 33199000-1, interessando di fatto una gamma molto ampia di prodotti, dalle attrezzature chirurgiche agli strumenti per la diagnostica e il monitoraggio clinico.
Le limitazioni per le imprese europee
La portata del regolamento non si limita alla sola esclusione delle imprese cinesi. Le imprese europee (e quindi anche italiane) aggiudicatarie di appalti sopra la soglia dei 5 milioni di Euro dovranno conformarsi a nuove e precise condizioni.
Anzitutto, anche laddove l’operatore sia europeo, non sarà possibile fornire dispositivi di origine cinese per un valore superiore al 50% dell’importo contrattuale dell’appalto. Tale limite è inteso a prevenire elusioni indirette del divieto principale.
Ai sensi dell’art. 8, paragrafo 2 del Regolamento IPI, è sufficiente che l’operatore economico fornisca prove attestanti che oltre il 50% del valore dell’appalto proviene da Paesi diversi da quello soggetto alla misura (cioè la Cina). La stazione appaltante ha l’obbligo di richiedere ulteriori prove solo in due circostanze: se vi sono indicazioni ragionevoli che la soglia del 50% non sia rispettata, oppure se l’appalto è stato aggiudicato a un gruppo che include almeno una persona giuridica di origine cinese.
Pertanto, gli aggiudicatari devono essere in grado di fornire adeguata documentazione attestante l’origine dei beni, in conformità ai criteri stabiliti dall’ articolo 3 del Regolamento IPI e dall’articolo 60 del Codice doganale dell’Unione (Reg. UE n. 952/2013). L’inosservanza di tali obblighi può comportare l’esclusione dalla procedura di gara, la risoluzione del contratto in fase esecutiva e l’applicazione di sanzioni economiche fino al 30% del valore dell’appalto.
Per le imprese italiane che, storicamente, importano dispositivi o componenti dalla Cina o si avvalgono di filiere miste, questa nuova disciplina comporta una necessaria revisione preventiva dei contratti di subfornitura, della struttura della supply chain, e dei documenti commerciali in uso. Si consideri, ad esempio, un’impresa che fornisce kit ospedalieri contenenti anche prodotti di origine cinese: qualora la quota di componenti cinesi superi il 50% del valore complessivo del contratto, l’offerta risulterà inammissibile. Analogamente, un produttore italiano che commercializza dispositivi realizzati da una consociata cinese dovrà valutare con attenzione l’origine doganale del prodotto finale.