19 Aprile 2021

Il nuovo orientamento della CGUE sulla possibilità di accesso indiscriminato ai dati telefonici e telematici degli indagati

Con l’odierna newsletter commentiamo la sentenza del 2 marzo 2021, nella quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta escludendo la possibilità che all’interno di uno Stato membro il PM possa acquisire direttamente i dati relativi al traffico telefonico e telematico ai fini di indagare un reato.

Nel nostro ordinamento tale facoltà è garantita al PM dall’art. 132 del d.lgs. 196/2003 (Codice Privacy), il quale, nel prevedere che gli operatori telefonici conservino i dati relativi al traffico telefonico per 24 mesi dalla data della comunicazione e quelli relativi al traffico telematico per 12 mesi, indica come finalità della conservazione proprio l’accertamento e la repressione dei reati; il comma 3 dello stesso articolo prevede che il PM possa acquisire direttamente, tramite decreto motivato, i dati summenzionati.

La disposizione citata origina dall’art. 15 paragrafo 1 della direttiva UE 2002/58, il quale consente agli Stati Membri di introdurre disposizioni finalizzate all’accesso dei dati “telefonici” dei cittadini da parte dell’autorità pubblica per la repressione dei reati.

L’interpretazione di tale norma è l’oggetto della sentenza in commento, la quale, trattandosi di una pronuncia interpretativa del diritto dell’Unione, sarà vincolante per le Corti di tutti gli Stati Membri, sebbene sia stata in relazione ad un rinvio pregiudiziale presentato da un giudice estone (causa C-746/18).

La decisione della CGUE è innovativa sotto diversi aspetti e dunque pare opportuno svolgerne una più attenta disamina.

La Corte Suprema estone, investita della questione tramite ricorso in cui si contestava l’ammissibilità dei processi verbali redatti in base ai dati ottenuti dal PM – grazie ai quali si era potuti giungere alla condanna dell’imputato, ha così provveduto a sollevare le seguenti questioni pregiudiziali:

1. se il citato articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 debba essere interpretato, alla luce degli articoli 7, 8, 11 e 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, nel senso che, in un procedimento penale, l’accesso di autorità nazionali a “dati che consentano di rintracciare e identificare la fonte e la destinazione di una comunicazione telefonica a partire dal telefono fisso o mobile del sospettato, di determinare la data, l’ora, la durata e la natura di tale comunicazione, di identificare le apparecchiature di comunicazione utilizzate, nonché di localizzare il materiale di comunicazione mobile utilizzato, costituisce un’ingerenza nei diritti fondamentali in questione di gravità tale che tale accesso dovrebbe essere limitato alla lotta contro le forme gravi di criminalità”;

2. se l’articolo 15, paragrafo 1, della medesima direttiva debba essere interpretato, sulla scorta del principio di proporzionalità, nel senso che quanto più notevole è la quantità di dati cui le autorità nazionali hanno accesso, tanto più gravi devono essere i reati perseguiti mediante tale ingerenza; e se, di conseguenza, è possibile accedere a una quantità limitata di dati per contrastare reati di limitato disvalore;

3. se può considerarsi autorità amministrativa indipendente il pubblico ministero, il quale dirige il procedimento istruttorio, è tenuto ad agire in modo indipendente e ha l’obbligo di acquisire sia elementi a carico sia a discarico relativi all’indagato.

È opportuno sottolineare che tali questioni sono rilevanti sotto il profilo della privacy in quanto, come rilevato dai giudici comunitari, “l’accesso a un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione può consentire di trarre conclusioni molto precise sulla vita privata delle persone i cui dati sono stati conservati, come le abitudini della vita quotidiana, i luoghi di soggiorno permanenti o temporanei, gli spostamenti giornalieri o di altro tipo, le attività esercitate, le relazioni sociali di tali persone e gli ambienti sociali da esse frequentati”.

In ragione di questa loro caratteristica è necessario vagliare la compatibilità della normativa nazionale rispetto ai diritti sanciti dall’art. 7 (relativo al rispetto della vita privata e della vita familiare) e dall’art. 8 (protezione dei dati di carattere personale) della Carta dei diritti dell’Unione Europea, i quali ben potrebbero essere lesi da un accesso indiscriminato ai dati telefonici.

La Corte Europea, nel trattare le prime due questioni pregiudiziali, ha affermato che l’accesso ai dati relativi al traffico telefonico deve sottostare al principio di proporzionalità sancito dall’art. 52 della Carta e rappresenta, indipendentemente dal tipo di dati che vengono acquisiti e dall’arco temporale cui questi si riferiscono, un’ingerenza grave in quanto permette di trarre precise conclusioni sulla vita privata del soggetto; pertanto, esso va in ogni caso limitato alla lotta ai crimini gravi. Per quanto invece attiene ai dati che, senza nulla dire in merito alla vita privata, si limitano a fornire le sole coordinate degli utenti, agli stessi è possibile accedere al fine di indagare su reati di qualsiasi gravità e valore.

In relazione alla terza questione pregiudiziale – quella più interessante nell’ottica della valutazione della disciplina italiana – il giudice europeo ha ritenuto che il PM, il quale svolge la fase istruttoria ed è incaricato di promuovere l’azione penale, non può essere considerato un soggetto indipendente ai sensi della disciplina europea. La Corte Europea statuisce quindi che il controllo debba necessariamente essere effettuato da un soggetto non solo terzo rispetto all’autorità che richiede l’accesso ma anche neutrale rispetto alle parti del procedimento. Solo così il controllo sarà effettivamente idoneo ad evitare ingerenze ingiustificate o sproporzionate.

Inoltre, secondo i giudici, il controllo in questione deve sempre essere preventivo non essendo mai possibile un’autorizzazione ex post, salvo casi d’urgenza. Lo scopo della disciplina – ossia quello di evitare che il diritto alla riservatezza ceda sempre di fronte alla necessità di condurre le indagini – infatti, non sarebbe realizzato se il PM potesse in ogni caso accedere ai dati telefonici e, solo successivamente, chiedere l’autorizzazione; nel caso in cui non la ottenesse, ci sarebbe stata un’ingiustificata e irrimediabile violazione della privacy dell’indagato.

Alla luce della decisione esaminata si rende evidente che l’art. 132 del nostro Codice Privacy, ai sensi del quale il PM può avere accesso a tutti dati di traffico relativi ad un utente con proprio decreto motivato, si pone in contrasto con la disciplina europea.

A tal proposito, i giudici comunitari ricordano che, sebbene spetti al diritto nazionale “stabilire le regole relative all’ammissibilità e alla valutazione di informazioni e di elementi di prova che siano stati ottenuti mediante una conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati, contraria al diritto dell’Unione”, si deve considerare che “il principio di effettività impone al giudice penale nazionale di escludere informazioni ed elementi di prova che siano stati ottenuti in violazione del diritto dell’Unione qualora i sospettati non siano in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito alle informazioni e agli elementi di prova” in questione, perché ciò lederebbe il principio del contraddittorio e di conseguenza il diritto ad un equo processo.

Sarà pertanto necessario adeguare la disciplina italiana a quella europea onde garantire una più ampia tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, così come richiesto dalla normativa comunitaria.

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