Cessione di partecipazioni sociali: buona fede, qualità promesse e limiti alle garanzie nella giurisprudenza del Tribunale di Milano
Con la sentenza n. 7382 del 24 luglio 2024, il Tribunale di Milano – Sezione Specializzata in Materia di Impresa – ha affrontato un tema particolarmente rilevante nel diritto societario e contrattuale: la cessione di partecipazioni sociali in una società a responsabilità limitata e i limiti della tutela dell’acquirente in caso di mancato rendimento dell’investimento.
La controversia nasce da un contratto di cessione del 30% delle quote di una società operante nel settore dei cosmetici. A seguito della cessione, la parte acquirente non ha adempiuto integralmente all’obbligazione di pagamento del prezzo. Ne è seguito un contenzioso promosso dalla parte venditrice per ottenere il versamento del residuo pattuito, pari a 80.000 euro, e per far valere la responsabilità personale dell’amministratore della società acquirente.
A sua difesa, l’acquirente ha eccepito l’inadempimento della controparte, lamentando la scarsa consistenza economico-finanziaria della società partecipata, l’assenza delle qualità promesse, e ha invocato quindi la risoluzione del contratto per mancanza di qualità essenziali ex art. 1497 c.c. e exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c..
Il Tribunale ha respinto integralmente le eccezioni dell’acquirente, accogliendo la domanda della venditrice e stabilendo al contempo la responsabilità solidale dell’amministratore della società acquirente per avere costituito una società veicolo priva di mezzi e usata in funzione elusiva rispetto all’adempimento contrattuale.
Buona fede contrattuale e limiti dell’obbligazione nella cessione di quote societarie
La sentenza affronta in modo puntuale il tema della portata applicativa della buona fede nell’esecuzione dei contratti di cessione di partecipazioni sociali, riaffermando un principio già consolidato: il canone di correttezza e buona fede non può essere utilizzato per ampliare ex post il contenuto dell’obbligazione gravante sulla parte venditrice.
Nel caso specifico, l’acquirente aveva invocato la violazione del principio di buona fede per giustificare l’inadempimento dell’obbligazione di pagamento del prezzo residuo, lamentando la mancata redditività dell’investimento. Il Tribunale ha tuttavia chiarito che la responsabilità del cedente per la mancata realizzazione delle aspettative economiche dell’acquirente può sussistere solo in presenza di una garanzia espressamente assunta in ordine alla redditività della società partecipata o alla presenza di specifiche qualità della quota ceduta.
Il giudice ha dunque tracciato una netta distinzione tra:
- da un lato, l’ipotesi in cui la parte venditrice ponga in essere condotte dolose o reticenti, tali da giustificare un intervento correttivo ex art. 1497 c.c.;
- dall’altro, i casi in cui sia l’acquirente a dover adottare una condotta diligente, attivandosi con adeguate verifiche precontrattuali e negoziando clausole di garanzia, senza poter confidare nel solo richiamo alla clausola generale di buona fede per coprire eventuali lacune contrattuali.
La nozione di “qualità promessa” nella cessione di partecipazioni sociali
Uno dei punti centrali della pronuncia è rappresentato dalla ricostruzione del significato giuridico delle “qualità essenziali” di cui all’art. 1497 c.c., applicato alla cessione di partecipazioni.
Secondo il Tribunale, la risoluzione del contratto per mancanza di qualità promesse o essenziali è possibile solo laddove tali qualità riguardino il diritto oggetto della cessione – ossia la quota societaria – e siano state espressamente garantite o siano implicite in base alla struttura del contratto.
Non rileva, invece, il venir meno delle caratteristiche economiche o patrimoniali della società partecipata, a meno che esse non siano state oggetto di una garanzia specifica. È stato escluso, ad esempio, che la perdita di valore della società target o la sua difficoltà economica possano incidere, di per sé, sulla validità del contratto di cessione. In tal senso, il contratto viene inquadrato come operazione “a rischio economico puro”, in cui la parte acquirente assume il rischio dell’investimento, salva diversa pattuizione.
La pronuncia aderisce pertanto all’orientamento giurisprudenziale che valorizza la distinzione tra il bene giuridico trasferito (la partecipazione, quale diritto patrimoniale e amministrativo) e il patrimonio della società (bene autonomo e separato, non oggetto diretto del contratto).
Considerazioni conclusive
La decisione in esame fornisce utili indicazioni applicative per la redazione e la gestione di contratti di trasferimento di partecipazioni societarie. In particolare, il Tribunale ha ribadito:
- che la clausola di buona fede non può essere utilizzata per modificare unilateralmente il contenuto dell’accordo, né per addossare al venditore obblighi mai assunti;
- che la tutela dell’acquirente presuppone un’attività diligente di verifica preventiva, unitamente alla richiesta di garanzie esplicite su aspetti patrimoniali, reddituali o qualitativi della partecipazione;
- che la mancanza di redditività della società target non configura, di per sé, una mancanza di qualità promesse, salvo che queste siano state specificamente contrattualizzate;
La pronuncia conferma l’importanza di una negoziazione consapevole e strutturata, capace di prevenire contenziosi attraverso un’adeguata articolazione delle garanzie contrattuali, senza demandare alla buona fede la funzione di “rimodulazione” delle obbligazioni originarie. I contratti di cessione di partecipazioni devono essere costruiti come strumenti chiari, coerenti e completi, nel pieno rispetto dell’autonomia contrattuale delle parti.