Abuso di attività di direzione e coordinamento: un commento alla pronuncia del Tribunale di Milano (sent. n. 7450/2024, RG 34793/2021)
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 7450 del 26 luglio 2024, si è pronunciato in merito alla responsabilità da abuso di attività di direzione e coordinamento nell’ambito di una complessa operazione di dismissione societaria. Al centro della vicenda vi era la cessione dell’unico asset detenuto da una holding costituita per finalità di investimento da un fondo di private equity, il quale, dopo alcuni anni di partecipazione, decideva di dismettere l’investimento a favore di un operatore industriale internazionale.
Una delle società di minoranza, titolare di azioni prive del diritto di voto, aveva promosso un’azione di responsabilità ex art. 2497 c.c., sostenendo che la cessione sarebbe stata decisa per ragioni estranee all’interesse della società controllata, in particolare per esigenze legate alla chiusura del fondo di investimento, e che tale operazione avrebbe determinato una significativa perdita patrimoniale per i soci di minoranza.
I convenuti hanno contestato tali ricostruzioni, sottolineando che la decisione di dismettere l’investimento fosse stata assunta in conseguenza delle crescenti esigenze finanziarie della controllata, non più sostenibili dai soci, e che la vendita fosse avvenuta all’esito di un articolato processo competitivo, condotto con il supporto di advisor di primario standing.
I principi giuridici trattati dal Tribunale
Il Tribunale ha colto l’occasione per precisare alcuni principi fondamentali in tema di responsabilità da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c.
L’attività di direzione e coordinamento è, in sé, lecita e costituisce naturale espressione del controllo di fatto esercitato dal soggetto che detiene la posizione di vertice nella catena societaria. Tuttavia, essa può dar luogo a responsabilità risarcitoria quando non rispetta i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e si traduce in un pregiudizio per la società controllata o i suoi soci, salvo l’esistenza di vantaggi compensativi.
La responsabilità ha natura contrattuale: spetta all’attore dimostrare l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, il danno subito e il nesso causale; la società controllante potrà però dimostrare la liceità della propria condotta o l’esistenza di benefici compensativi. È sufficiente, ai fini della responsabilità, anche una singola operazione, se idonea a generare un danno; tuttavia, l’attore deve allegare in modo puntuale i profili di illiceità della condotta contestata.
La decisione nel merito
Nel caso concreto, il Tribunale ha escluso la configurabilità di un abuso dell’attività di direzione e coordinamento.
La decisione di dismettere l’investimento non era stata imposta dalla imminente chiusura del fondo di investimento – il cui termine era stato prorogato oltre la scadenza originaria – bensì scaturiva da una legittima valutazione imprenditoriale sull’opportunità di non effettuare ulteriori rilevanti iniezioni di capitale nella controllata, che presentava ancora consistenti fabbisogni finanziari e aveva registrato significative perdite d’esercizio.
Quanto al prezzo di cessione, il Tribunale ha rilevato che la vendita era avvenuta all’esito di un processo competitivo che aveva coinvolto diversi potenziali acquirenti. L’offerta dell’acquirente industriale, per caratteristiche e condizioni, risultava la più vantaggiosa e adeguata alle condizioni di mercato, tenuto conto anche delle prospettive economico-finanziarie della società ceduta. Il raffronto con il valore di bilancio registrato in precedenza (in esito a impairment test) è stato ritenuto non significativo, poiché quei valori si basavano su business plan che presupponevano ulteriori investimenti non realizzati.
Considerazioni finali
La pronuncia offre una puntuale ricostruzione dei presupposti applicativi dell’art. 2497 c.c., richiamando l’esigenza di distinguere tra la fisiologica attività di gestione e le ipotesi di abuso effettivo dell’attività di direzione e coordinamento. La scelta di dismettere un investimento finanziario, se frutto di una razionale valutazione imprenditoriale e adottata nel rispetto dei principi di corretta amministrazione, non è sindacabile né può di per sé costituire fonte di responsabilità, anche laddove si traduca in una perdita per i soci di minoranza.
La decisione si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale che riconosce l’autonomia decisionale degli organi gestori e degli investitori finanziari, circoscrivendo la responsabilità per abuso di direzione e coordinamento a condotte concretamente lesive, puntualmente allegabili e provabili.