Sulla natura del rapporto di amministrazione e sulle relative conseguenze
Oggi commentiamo tre sentenze ormai risalenti della Corte di Cassazione (n. 14369/2015 n. 2759/2016 e n. 1545/2017, quest’ultima a Sezioni Unite) tutte afferenti la qualificazione del rapporto di amministrazione come rapporto societario in luogo del rapporto di tipo parasubordinato rientrante in quelli di cui all’art. 409 c.p.c. che veniva in precedenza riconosciuto sussistente. Il cuore della motivazione di tutte le tre citate sentenze – che supera la (ormai non più) granitica giurisprudenza formatasi successivamente alla sentenza n. 10680/1994 – è il seguente “L’amministratore unico o il consigliere d’amministrazione di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c.”. Diverse sono le conseguenze che, in ciascuna delle tre sentenze, vengono tratte dalla Suprema Corte sulla base del medesimo e già citato presupposto inerente la natura del rapporto: – n. 14369/2015: si afferma la competenza della Sezione Specializzata in materia di Impresa non solo per le azioni derivanti dal rapporto organico (tipicamente l’azione di responsabilità) ma anche per quelle derivanti dal rapporto obbligatorio (tipicamente l’azione sul compenso): “Ritiene, dunque, il Collegio che il riferimento ai “rapporti societari” sia idoneo a comprendere tutte le controversie che vedano coinvolti la società ed i suoi amministratori e ciò senza poter distinguere fra le controversie che riguardino l’agire degli amministratori nell’espletamento del rapporto organico ed i diritti che sulla base dell’eventuale contratto che la società e l’amministratore abbiano stipulato siano stati riconosciuti a titolo di compenso”; – n. 2759/2016, si afferma l’arbitrabilità della controversia con l’amministratore inerente il compenso “il venir meno del divieto di arbitrato di cui all’art. 806 c.p.c., per le cause inerenti rapporti di lavoro, e l’introduzione, da parte del legislatore delegato dalla L. n. 366 del 2001, della disciplina finalizzata a prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga degli artt. 806 e 808 c.p.c., per tutte o alcune tra le controversie societarie, rende ormai priva di base normativa la limitazione della ricorribilità agli arbitrati in materia di controversie fra amministratori e società anche se concernenti i profili del rapporto obbligatorio fra società e amministratore e specificamente il diritto degli amministratori al compenso”. – SS.UU. n. 1545/2017: la Suprema Corte esclude l’applicabilità del limite del quinto al pignoramento del compenso dell’amministratore ai sensi dell’art. 545 c.p.c. affermando dunque la totale pignorabilità dei compensi.