05 Maggio 2022

RIPUBBLICARE VIDEO ONLINE INTEGRA GLI ESTREMI DELLA CONCORRENZA

Con l’odierna newsletter commentiamo la pronuncia della Suprema Corte n. 8270 del 14 marzo 2022, con la quale, la predetta corte ha messo fine ad una lite decennale relativa alla pubblicazione online da parte di un gruppo editoriale di estratti di contenuti audiovisivi di proprietà di altro primario operatore del settore radiotelevisivo. I video in questione risultavano essere stati pubblicati dal gruppo editoriale direttamente sul proprio portale, alla sezione “video”, in modo tale che, prima della visualizzazione del filmato da parte del visitatore del sito web, si attivasse un breve messaggio pubblicitario dei cui proventi beneficiava in via esclusiva il solo gruppo editoriale.

Pronunciandosi sulla vicenda, la Suprema Corte ha ribadito l’interpretazione dinamica del concetto di “comunanza di clientela” e stabilito che la pubblicazione non autorizzata sul proprio sito web di contenuti audiovisivi di un altro soggetto integra gli estremi della concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, n. 3 del cod. civ..

Perché la condotta di un’impresa possa qualificarsi come concorrenza sleale è necessario che sussista una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune e, quindi, dalla comunanza di clientela.

Per la Suprema Corte, come già specificato nell’Ordinanza n. 12364 del 18 maggio 2018 e, ancora prima, con la sentenza n. 17144 del 2009, la comunanza di clientela “non è data dell’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno”. Per la Corte di Cassazione, la sussistenza della comunanza di clientela va accertata anche in ottica potenziale, ovverosia verificando se l’attività oggetto di esame, considerata la sua naturale dinamicità, consenta di configurare, “quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale”.

Con la sentenza n. 8270/2022, la Corte di Cassazione ha applicato per la prima volta questi principi al mondo dell’industria della pubblicità digitale, ritenendo che la concorrenza tra le due parti del giudizio poteva essere analizzata sotto il profilo della concorrenza sul mercato pubblicitario degli inserzionisti, per il quale il numero degli utenti collegati rappresenta un indicatore per orientare le proprie scelte pubblicitarie.

Di fatto, interessati a dare visibilità ai propri prodotti ai consumatori di contenuti audiovisivi, gli inserzionisti pubblicitari possono rivolgersi per l’acquisto di spazio promozionale sia alle reti tv, sia alle testate web.

Inoltre, le reti tv sono sempre più spesso dotate di piattaforme web proprietarie sulle quali vengono pubblicati contenuti audiovisivi estratti dai diversi programmi tv, anche al fine di dare visibilità pubblicitaria. Tale possibilità di sfruttamento non deve essere pregiudicata dalla pubblicazione non autorizzata di propri videoclip da parte delle testate web.

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