09 Dicembre 2021

L’infedele dichiarazione per ottenere accesso ai fondi Covid può configurare responsabilità amministrativa in capo alla società

Con il decreto-legge 23/2020, per far fronte alla situazione emergenziale dettata dalla pandemia, il legislatore si è avvalso del Fondo centrale di garanzia per le PMI assicurando immissione di liquidità alle imprese richiedenti per il tramite di un istituto di credito.

Per garantire una certa prontezza nell’erogazione di liquidità, il decreto sollevava gli istituti di credito dalla necessità di svolgere le ordinarie istruttorie, richiedendo solo una verifica formale circa l’autocertificazione presentata dall’impresa richiedente, attestante la sussistenza dei requisiti per accedere alla facilitazione[1].

L’introduzione della misura auto certificativa ha lasciato spazio a possibili comportamenti scorretti delle imprese richiedenti, che avrebbero potuto facilmente presentare dichiarazioni infedeli allo scopo di ottenere indebiti finanziamenti.

In particolare, con sentenza del 24.11.2021, la Sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha precisato che l’indebito conseguimento di finanziamento erogato da un istituto di credito in attuazione del d.lgs. 23/2020– ottenuto con l’impiego di infedele autocertificazione del richiedente circa la sussistenza dei requisiti di legge- integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.

La condotta illecita – quale presentazione di una dichiarazione non veritiera nella consapevolezza della falsità e/o incompletezza della stessa – che porti ad un’indebita percezione, determina l’applicazione di una sanzione amministrativa e/o della pena della reclusione in capo al dichiarante, ai sensi dell’art. 316-ter c.p.

Tuttavia, non è da sottovalutare la circostanza che la fattispecie incriminatrice in questione assume rilevanza anche in contesto aziendale poiché l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato rientra a pieno titolo tra i reati presupposto di cui al d.lgs. 231/2001 (art. 24).

Ai sensi del d.lgs. 231/2001, per il riconoscimento di una responsabilità amministrativa in capo alla società – a fronte del perseguimento di un vantaggio per la società stessa- è sufficiente che sia riscontrata l’assenza di adeguati Modelli Organizzativi e di idonei controlli circa la loro attuazione, volti a prevenire la commissione di reati.

Per evitare di incorrere in responsabilità è necessario, quindi, che la società si doti di sistemi di controllo e di procedure aziendali interne idonee ad evitare la resa di dichiarazioni infedeli, che diano false rappresentazioni della società e che potrebbero determinare in capo a questa l’applicazione di sanzioni sia interdittive che amministrative, secondo il tipico schema del d.lgs. 231/2001 -c.d. a doppio binario.

Potrebbe rendersi opportuna, ad esempio, l’istituzione di una figura preposta al controllo della documentazione dichiarativa che si interfacci con altre figure di riferimento (interne o esterne) per il completamento delle relative verifiche, ciascuna per il proprio ambito di competenza.

[1] I presupposti di accesso erano i seguenti: 

– l’interruzione e/o limitazione dell’attività d’impresa a causa dell’emergenza sanitaria stante la situazione di continuità aziendale presente prima della pandemia;

– la veridicità e completezza dei dati aziendali forniti su richiesta dell’intermediario finanziario;

– le ragioni legate alla richiesta di finanziamento derivanti dalla necessità di sostenere i costi del personale, investimenti o capitale circolante, impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali localizzate in Italia;

– l’assenza di condanne per evasione fiscale in capo al rappresentante legale nei cinque anni antecedenti alla presentazione della richiesta.

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